venerdì 31 luglio 2015
Mezzaselva 29 luglio 2015
evento 29 Luglio Roana -Mezzaselva _ Vicenza
evento splendido per partecipazione ed entusiasmo. quando accade questo credo che io possa dire mi aumenta l'entusiasmo e la motivazione e le idee frullano vorticosamente.
Domande ed interesse verso Io ti vedo. Interesse e curiosità verso la gente curiosa di Mezzaselva. Si è creato un clima familiare, una energia positiva e il tutto è terminato con un filò e una tisana di lamponi dentro un bellissimo b e b di Mezzaselva. Ho il cuore pieno di emozione.
lunedì 27 luglio 2015
29 Luglio Presentazione di Io ti vedo
Tappa di Io ti vedo a Mezzaselva di Roana di Asiago (Vi) mercoledì 29 2015. Presentazione e reading a cui seguirà intervista. Vi aspettiamo!
Perchè è giusto partecipare a quello che sta accadendo nel nostro paese!Ed è importante capire il vostro punto di vista a partire dal mio racconto!
Vi aspetto...
domenica 26 luglio 2015
NOI SIAMO QUI per cambiare
andiamo avanti con Io ti vedo.
Dopo i precedenti articoli di riflessione su come stanno di salute i trentenni in Italia, e vorrei dire anche spostando sempre più avanti l'età di questa riflessione, anche i quarantenni, c'è sicuramente da pensare. Molti vanno via, altri restano. Io sono ancora qui. Con tutti quelli che restano. Sto mettendo in gioco la mia forza e la mia energia. Noi speriamo ancora di cambiare qualcosa.
che può fare un giovane trentenne in Italia'
Essere trentenni in Italia, senza un lavoro e senza prospettive… è cos ’e nient!
“Pur chest è cos ’e nient , è semp cos’e nient, tutte le situazioni sempre così le abbiamo risolte…è cos ’e nient, non teniamo che mangiare… è cos ’e nient, ci manca il necessario… è cos ’e nient, domani perdo il lavoro… cos ’e nient, ci tolgono il diritto alla vita, ci tolgono l’aria che vuo’ fa… è cos ’e nient. A furia di dire è cos ’e nient, siamo diventati due cos ’e nient.
Chi ruba lavoro è come se rubasse danaro, ma se onestamente non si può vivere… se io esco ed uccido qualcuno o se io impazzisco e mi portano al manicomio e la gente ti domanderà come mai vostro marito è impazzito, devi rispondere, ma così…per cos ’e nient”.
“E’ cos ‘e nient”, è questa la frase che Eduardo De Filippo fa ripetere al suo personaggio Peppino Girella della omonima serie televisiva, come a sottolineare il tipico spirito di rassegnazione dell’italiano medio di fronte alle mille difficoltà della vita quotidiana.
Lo stesso atteggiamento lo riscontro anche nella gran parte dei miei coetanei, che con frasi del tipo “aspettiamo, vediamo, speriamo…”, affrontano a loro modo i problemi quotidiani legati all’attuale crisi di lavoro, minimizzandola.
Rimane però il fatto che la realtà è tragica, soprattutto per i trentenni che sono considerati “fuori”; infatti leggendo un qualsiasi sito o un giornale di annunci di lavoro, si troveranno offerte del genere “… cercasi giovane laureato età max 29 anni con esperienza minima di 5 anni nel settore, voto di laurea minimo 105/110, inglese fluente, con capacità di lavorare in gruppo, etc …”.
E che dire delle proposte di corsi di formazione o stage, nei quali si richiede “Residenza nella Regione xxxxxx; età non inferiore ai 18 anni e non superiore ai 29 anni alla scadenza della data di presentazione della domanda”.
Ieri leggevo sul Sole 24 ore: “La scuola aiuta a trovare lavoro? Per l’Ocse l’Università è troppo distante dal mercato, (…) In Italia ben il 16% di chi è uscito dall’Università con il famoso ‘pezzo’ di carta è disoccupato (per l’84% che ha una laurea e un lavoro, il primo stipendio in media non supera gli 850 euro al mese)”. (2)
Non bisogna generalizzare certo, ma purtroppo le Università italiane continuano a produrre personale spesso non qualificato e preparato al mondo del lavoro, contribuendo ad ingrandire sempre più la distanza dalla realtà lavorativa.
Cosa ancora più grave, da evidenziare, è che molti giovani escono dal mondo universitario senza avere idee chiare sul proprio settore e su cosa vogliono fare da grandi ed inoltre mostrano scarso interesse verso quelle riforme che ne condizionano il futuro, subendone passivamente gli effetti.
Capisco che stiamo in Europa (almeno sulla carta) e che quindi il sistema normativo italiano in materia di lavoro si deve adeguare alle normative comunitarie (programmi Ue , progetto garanzia giovani ed altri), ma la verità è che l’Italia, nonostante in Europa, resta un Paese in cui non vengono offerte possibilità ai giovani trentenni, vero motore delle prossime generazioni, e pertanto neanche paragonabile ad altri Stati Europei che almeno cercano di dare delle garanzie e/o aiuti (redditi di cittadinanza, sostegno alle famiglie, percorsi formativi di reinserimento lavorativo, etc).
In questa situazione, che può fare un giovane trentenne in Italia?
Aprirsi una partita Iva tra mille difficoltà e sperare di emergere nella libera professione e/o impresa, con tutti i rischi relativi, come un’aliquota contributiva che per la riforma Fornero dovrebbe passare nel 2015 dal 27,72% al 29,72%, per poi salire al 33,72% nel 2019, ed un aumento dell’imposta sostitutiva dell’Irpef dal regime del 5 al 15 %, previsto dalla modifica del regime dei minimi voluta dal governo con l’ultima legge di stabilità.
Creare una start up, che altro non è se non l’avvio di un’impresa; cosa che, dopo un anno, per i problemi e le difficoltà tipiche di qualsiasi impresa in Italia (costo del lavoro, elevata tassazione, costi fissi, etc etc), nella gran parte dei casi si avvia alla chiusura.
Partecipare a concorsi pubblici, sempre che siano banditi; io personalmente , ne ho visti uscire pochissimi negli ultimi anni, quasi da contare sulle dita di una mano ed in alcuni casi con requisiti fuori da ogni logica.
Sperare di essere assunti da un’azienda; cosa che, con la nuova normativa del Jobs Act a tutele crescenti in vigore da gennaio 2015, comporta il rischio di rimanere precari e senza garanzie.
Last but not least, lasciare il Paese; leggevo qualche giorno fa, in un articolo sul Regno Unito, che: “Gli ultimi dati dell’Office for national statistics davano 44mila arrivi italiani nell’anno passato, con un aumento del 66 per cento rispetto al precedente. La nuova ondata migratoria sarà costituita da professionisti e lavoratori intellettuali”.
Di questi nuovi emigranti, secondo i dati dell’Ambasciata italiana a Londra il 60 per cento ha meno di trentacinque anni, il 25 per cento fra i trentacinque e i quarantaquattro.
Ed allora al nuovo Presidente della Repubblica Mattarella, che ha voluto da subito dedicare un pensiero alle difficoltà e alle speranze degli Italiani, rivolgo, non dopo aver fattogli i miei auguri di buon lavoro, l’invito a focalizzare maggiore attenzione soprattutto alla generazione dei trentenni, indirizzando l’attuale classe politica verso riforme adeguate a garantire il loro diritto al lavoro.
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dis-occupato giovanile
La vera emergenza in Italia sono i 25-34enni. Quella é la vera, drammatica, insopportabile «disoccupazione giovanile».
Non per le statistiche, ma per chiunque viva e osservi il mercato del
lavoro italiano. Il disastro sono i milioni di 25-34enni disoccupati
(cioè che hanno perso il lavoro e ne stanno cercando un altro),
inoccupati (che non ne hanno mai avuto uno) o addirittura neet (che sono
rassegnati e non lo cercano).
Su questa fascia di età vanno concentrati tutti gli sforzi. Sono i 25-34enni il futuro prossimo dell'Italia. Io li chiamo "giovani anzianotti", perchè non sono più giovanissimi ma nella cultura italiana vengono considerati e sopratutto trattati - sia da famiglie iperprotettive sia da datori di lavoro irresponsabili - come tali: sono loro che vanno aiutati a trovare un lavoro, agevolando le aziende ad assumerli. Sono loro che non hanno più l'età per vivere con i genitori e mantenersi grazie alla mancetta dei nonni. Sono loro che devono essere valorizzati, dopo tutto quello che hanno studiato: e pagati con stipendi decenti, in modo da poter uscire di casa, farsi un proprio nucleo, magari mettere su famiglia. Perché per fare figli non si può aspettare, come fanno le donne italiane, di essere vicine alla quarantina: lungi dall'essere un problema "privato", quello delle primipare attempate è invece un dramma che ha effetti sulla demografia e in ultima analisi sull'intera società italiana, sempre più povera di bambini e dunque sempre meno attrezzata per sostenere, tra trenta-quarant'anni, il peso del welfare per le pensioni.
Eleonora Voltolina in
La Repubblica degli stagisti
Su questa fascia di età vanno concentrati tutti gli sforzi. Sono i 25-34enni il futuro prossimo dell'Italia. Io li chiamo "giovani anzianotti", perchè non sono più giovanissimi ma nella cultura italiana vengono considerati e sopratutto trattati - sia da famiglie iperprotettive sia da datori di lavoro irresponsabili - come tali: sono loro che vanno aiutati a trovare un lavoro, agevolando le aziende ad assumerli. Sono loro che non hanno più l'età per vivere con i genitori e mantenersi grazie alla mancetta dei nonni. Sono loro che devono essere valorizzati, dopo tutto quello che hanno studiato: e pagati con stipendi decenti, in modo da poter uscire di casa, farsi un proprio nucleo, magari mettere su famiglia. Perché per fare figli non si può aspettare, come fanno le donne italiane, di essere vicine alla quarantina: lungi dall'essere un problema "privato", quello delle primipare attempate è invece un dramma che ha effetti sulla demografia e in ultima analisi sull'intera società italiana, sempre più povera di bambini e dunque sempre meno attrezzata per sostenere, tra trenta-quarant'anni, il peso del welfare per le pensioni.
Eleonora Voltolina in
La Repubblica degli stagisti
i trentenni di oggi
Meglio usare che possedere, i trentenni cambiano i consumi
Per
capirli davvero, bisogna darsi appuntamento alle tre di notte, a
Bergamo Orio al Serio o qualunque altro aeroporto da compagnie low cost.
Lì, tra le corsie vuote del check-in, in mezzo a luci e rumori
perpetui, mentre il personale pulisce il pavimento e svuota i cestini,
ne troverete tanti.
Giovani adulti, al massimo trentenni o poco oltre, curvi su un sedile scomodo, abbracciati a un trolley, sdraiati a terra dentro un sacco a pelo. A volte attrezzati di mascherina paraocchi o cuffie isola-orecchie. Sempre e comunque pronti a far ciò che mai ai loro padri sarebbe saltato in mente: dormire in aeroporto. Quasi un rito, certamente il simbolo di una generazione. Quella dei cosiddetti «Millennials», o «Generazione Y», i trentenni, quelli, insomma nati dal 1980 in poi.
Non a caso, per chiamarli spesso si è ricorso a un’altra etichetta, quella di «Generazione Ryanair». C’entrano gli orari – mattutini e infausti – dei voli low cost. Ma c’è molto di più. C’è una nuova filosofia di consumo, la necessità e la voglia di fare esperienze senza spendere un euro più del necessario, la concretezza di chi è diventato grande al tempo della crisi, la capacità e la voglia di risparmiare, ogni volta che si può.
Le notti in aeroporto sono solo un esempio. Il principio vale e si vede in mille altre situazioni. Ed è uno schema che non passerà, destinato a rimanere e a cambiare tutto, in materia di consumi.
A suggerirlo è un’inchiesta del settimanale economico «Forbes», che lo dice senza mezzi termini: «I Millennials stanno cambiando per sempre il modo di usare i soldi». Pragmatici fino (quasi) alla spilorceria, i venti-trentenni di oggi badano al sodo. Puntano a usare più che a possedere. Comprano un vestito o scelgono un viaggio guardando prima di tutto il prezzo, a volte passando ore a cercare la soluzione più intelligente ed economica. Si affidano alla tecnologia e a Internet per trovare l’offerta o la strategia giusta, e anche per gestire i propri risparmi.
Secondo una ricerca di Accenture, negli Stati Uniti è già il 94 per cento dei 18-29enni a usare i servizi online delle banche, mentre il 39 per cento di loro è disposto ad affidarsi a una banca senza filiali, tutta virtuale. Ancor più importante: il 66 per cento di questi giovani adulti spende sempre secondo un budget prefissato, con criterio e parsimonia, mentre a farlo è solo il 36 per cento degli over 55.
Come detto, sono dati che riguardano i Millennials americani. Ma – con la dovuta prudenza – si possono applicare un po’ a tutto l’Occidente, Italia inclusa. I numeri aiutano anche a spiegare il successo della «sharing economy», l’economia collaborativa di chi divide una casa in affitto, viaggia con BlaBlaCar e simili (car sharing), usa le bici pubbliche (bike sharing), lavora in spazi condivisi (coworking), o finanzia i propri progetti con la colletta virtuale (crowdfunding).
È - si capisce - un mondo molto anglofono e molto online. Ma guai a vederci una rivoluzione solo tecnologica. La metamorfosi si vede infatti nel mondo reale almeno quanto su Internet. È così che si vendono sempre meno vestiti di marca e i negozi come H&M e Zara – mondi tutt’altro che digitali – sono sempre affollati.
E così è nata la ribellione ai taxi tradizionali e si è diffuso Uber («Se si può pagare meno, che importa la licenza?», pensa il Millennial-tipo). E poi c’è il pellegrinaggio all’Ikea, diventato un altro rito simbolo, da coppiette che arredano una casa – magari in affitto – secondo il loro gusto e impulso del momento. Per qualche anno e non per l’eternità, con mobili destinati a durare quanto serve e pronti ad essere cambiati in un attimo, se cambiano le esigenze o non piacciono più.
Meglio cambiare spesso che rimanere prigionieri di mobili, scarpe, vestiti troppo costosi. Meglio far esperienze e viaggiare, seppur con qualche compromesso, che dover rinunciare perché costa troppo. È questo cambio di mentalità ciò che più distingue i Millennials da padri e nonni. Lungo la strada sono caduti tanti tabù delle generazioni precedenti, non solo quello di dormire in aeroporto. Basti pensare che in Italia il mercato dell’usato riguarda ormai il 44 per cento della popolazione e – tra mobili, vestiti, libri e tecnologia – ha raggiunto un giro d’affari di 18 miliardi di euro all’anno (dati Doxa).
Quando la generazione Y diventerà grande cambierà idea? Viaggerà in prima classe e comprerà di marca? Sarà più consumista e meno sparagnina? Difficile dirlo, ma nei dati ci sono tutti gli indizi per credere che questo non succederà.
Nel 2020 i Millennials saranno già un quarto della popolazione italiana e il 36 per cento di quella degli Stati Uniti, il Paese da cui tutto il cambiamento è partito. A quell’altezza, lo capiremo meglio. E se, come diceva «Forbes», il nuovo modo di usare il denaro è destinato a rimanere, saranno gli altri – governi, banche, aziende – a doversi adattare.
Giovani adulti, al massimo trentenni o poco oltre, curvi su un sedile scomodo, abbracciati a un trolley, sdraiati a terra dentro un sacco a pelo. A volte attrezzati di mascherina paraocchi o cuffie isola-orecchie. Sempre e comunque pronti a far ciò che mai ai loro padri sarebbe saltato in mente: dormire in aeroporto. Quasi un rito, certamente il simbolo di una generazione. Quella dei cosiddetti «Millennials», o «Generazione Y», i trentenni, quelli, insomma nati dal 1980 in poi.
Non a caso, per chiamarli spesso si è ricorso a un’altra etichetta, quella di «Generazione Ryanair». C’entrano gli orari – mattutini e infausti – dei voli low cost. Ma c’è molto di più. C’è una nuova filosofia di consumo, la necessità e la voglia di fare esperienze senza spendere un euro più del necessario, la concretezza di chi è diventato grande al tempo della crisi, la capacità e la voglia di risparmiare, ogni volta che si può.
Le notti in aeroporto sono solo un esempio. Il principio vale e si vede in mille altre situazioni. Ed è uno schema che non passerà, destinato a rimanere e a cambiare tutto, in materia di consumi.
A suggerirlo è un’inchiesta del settimanale economico «Forbes», che lo dice senza mezzi termini: «I Millennials stanno cambiando per sempre il modo di usare i soldi». Pragmatici fino (quasi) alla spilorceria, i venti-trentenni di oggi badano al sodo. Puntano a usare più che a possedere. Comprano un vestito o scelgono un viaggio guardando prima di tutto il prezzo, a volte passando ore a cercare la soluzione più intelligente ed economica. Si affidano alla tecnologia e a Internet per trovare l’offerta o la strategia giusta, e anche per gestire i propri risparmi.
Secondo una ricerca di Accenture, negli Stati Uniti è già il 94 per cento dei 18-29enni a usare i servizi online delle banche, mentre il 39 per cento di loro è disposto ad affidarsi a una banca senza filiali, tutta virtuale. Ancor più importante: il 66 per cento di questi giovani adulti spende sempre secondo un budget prefissato, con criterio e parsimonia, mentre a farlo è solo il 36 per cento degli over 55.
Come detto, sono dati che riguardano i Millennials americani. Ma – con la dovuta prudenza – si possono applicare un po’ a tutto l’Occidente, Italia inclusa. I numeri aiutano anche a spiegare il successo della «sharing economy», l’economia collaborativa di chi divide una casa in affitto, viaggia con BlaBlaCar e simili (car sharing), usa le bici pubbliche (bike sharing), lavora in spazi condivisi (coworking), o finanzia i propri progetti con la colletta virtuale (crowdfunding).
È - si capisce - un mondo molto anglofono e molto online. Ma guai a vederci una rivoluzione solo tecnologica. La metamorfosi si vede infatti nel mondo reale almeno quanto su Internet. È così che si vendono sempre meno vestiti di marca e i negozi come H&M e Zara – mondi tutt’altro che digitali – sono sempre affollati.
E così è nata la ribellione ai taxi tradizionali e si è diffuso Uber («Se si può pagare meno, che importa la licenza?», pensa il Millennial-tipo). E poi c’è il pellegrinaggio all’Ikea, diventato un altro rito simbolo, da coppiette che arredano una casa – magari in affitto – secondo il loro gusto e impulso del momento. Per qualche anno e non per l’eternità, con mobili destinati a durare quanto serve e pronti ad essere cambiati in un attimo, se cambiano le esigenze o non piacciono più.
Meglio cambiare spesso che rimanere prigionieri di mobili, scarpe, vestiti troppo costosi. Meglio far esperienze e viaggiare, seppur con qualche compromesso, che dover rinunciare perché costa troppo. È questo cambio di mentalità ciò che più distingue i Millennials da padri e nonni. Lungo la strada sono caduti tanti tabù delle generazioni precedenti, non solo quello di dormire in aeroporto. Basti pensare che in Italia il mercato dell’usato riguarda ormai il 44 per cento della popolazione e – tra mobili, vestiti, libri e tecnologia – ha raggiunto un giro d’affari di 18 miliardi di euro all’anno (dati Doxa).
Quando la generazione Y diventerà grande cambierà idea? Viaggerà in prima classe e comprerà di marca? Sarà più consumista e meno sparagnina? Difficile dirlo, ma nei dati ci sono tutti gli indizi per credere che questo non succederà.
Nel 2020 i Millennials saranno già un quarto della popolazione italiana e il 36 per cento di quella degli Stati Uniti, il Paese da cui tutto il cambiamento è partito. A quell’altezza, lo capiremo meglio. E se, come diceva «Forbes», il nuovo modo di usare il denaro è destinato a rimanere, saranno gli altri – governi, banche, aziende – a doversi adattare.
andare e stare
siamo barche che vanno, leggere sul fiume, dentro ognuno di noi la risposta se andare o stare. Forse nell'equilibrio tra le due azioni sta la migliore risposta. Siamo marinai in cerca di un porto o barche in continuo spostamento, o forse entrambe?
sabato 25 luglio 2015
trasformazione in cammino
come dal post precedente a questo nel mio blog... per il principio tutto si trasforma nulla si distrugge.. dal mio libro Io ti vedo, nel buio della precarietà ho deciso di creare uno spazio creativo per me e per tutti quelli che credono nel far emergere la fantasia e i propri talenti anche quelli più nascosti. Io ci credo molto. Ci sto lavorando e ho molta fiducia in questa energia creativa.
tutto si trasforma
Che cos'è disoccupazione creativa? E' una scatola dove mettere sogni e desideri. Potrebbe sembrare una scatola da fiaba, ma non lo è o forse fintanto che non si realizza qualcosa di concreto. Disoccupazione creativa è un contenitore metaforico dei propri talenti, da una cosa inserita nella scatola ne può scaturire un'altra.
Io dico tutti si trasforma nulla si distrugge come diceva Antoine Lavoisier...
Io dico tutti si trasforma nulla si distrugge come diceva Antoine Lavoisier...
delusi da lavoro e università
ilfattoquotidiano.it
"Delusi da lavoro e università, torniamo alla terra per fare qualcosa di concreto: produrre cibo" - Il Fatto Quotidiano
di Raffaele Nappi | 25 luglio 2015
Matteo, insieme a tre amici della provincia di La Spezia a fine 2014 ha creato il progetto agricolo Onda D’Orto
Insieme a Matteo, ci sono Filippo Silvi, 25 anni, che ha lasciato un’agenzia di moda di Milano e ha alle spalle due anni di studi alla Genoa Comics Academy. Poi Jacopo Zeni, 25 anni, con una laurea triennale in Pedagogia, una specialistica lasciata a metà in Neuroscienze e un lavoro in una comunità per tossicodipendenti, e Giacomo Muni, 28 anni, iscritto alla Facoltà di Lingue Orientali all’Università di Venezia, che ha lasciato gli studi a due esami dalla laurea.“Durante il periodo universitario – spiega Giacomo – ho lavorato per potermi mantenere gli studi fuori casa. Poi, visto il costo sempre più alto della vita, sono stato costretto a tornare a casa dai miei genitori”, racconta Giacomo. Jacopo, invece, è rimasto colpito dalla superficialità con cui si affrontavano le materie di studio e dalla scarsa circolazione di idee innovative in ambito universitario.
La terra lavorata principalmente a mano e in base ai principi dell’agricoltura sinergica
Filippo è stato il primo a credere nel progetto, insieme a Matteo. “Ho lavorato per un anno a Milano in un’agenzia di moda. Le giornate erano dure: lezioni alla mattina, lavoro nel pomeriggio. La sera mi rimettevo sui lavori da consegnare ai professori“, racconta. “Dopo mesi faticosi ho deciso di cambiare aria e sono arrivato a Genova, dove ho studiato per due anni alla Genoa Comics Academy”.
Ma anche stavolta le cose non vanno nel modo giusto: “Bellissima
esperienza, anche se mi è servita a capire che passare la vita in una
stanza con la schiena piegata su un foglio a disegnare fumetti non
sarebbe stata la mia vita. Rappresentava quello che avrei sempre voluto
fare sin da piccolo, ma ero più attratto dal mondo fuori”.Filippo quindi torna a casa, a Sarzana, per prendersi un po’ di tempo e capire cosa fare davvero nella vita. “Sentivo che fino a quel momento le mie scelte erano state condizionate da un sistema che cerca di indirizzarti verso un percorso obbligato, fatto di scuola, aspettative famigliari, lavoro e pensione”. Insieme a Jacopo recupera il terreno da 1.500 metri quadri di suo nonno, e comincia a lavorarlo secondo le nuove tecniche agricole sinergiche. E al ritorno di Matteo dall’Australia l’idea si concretizza.
“Facciamo finalmente qualcosa di nostro che ci piace e in cui crediamo. E finalmente possiamo vedere un risultato tangibile”
Con l’ingresso nel gruppo di Giacomo tutto è pronto per partire. “Facciamo finalmente qualcosa di nostro che ci piace e in cui crediamo. Qualcosa di concreto: produciamo cibo. E finalmente possiamo vedere un risultato tangibile, a stretto contatto con la natura e con i suoi ritmi. Viviamo le nostre giornate all’aperto, non abbiamo bisogno di pagare l’abbonamento in palestra dopo il lavoro in ufficio, abbiamo una vita faticosa ma felice, siamo padroni del nostro tempo, e la gente che ci chiede la verdura
o che ci vede lavorare nel campo è curiosa ed entusiasta”. Tutto il
lavoro, dalla semina alla raccolta, è in gran parte fatto a mano, senza
l’ausilio di macchinari.Non è solo lo stile di vita a rendere soddisfatti i ragazzi, ma l’orgoglio e la consapevolezza di aver intrapreso un’esperienza importante, che sa di sfida. E visto che sono ancora alle prime armi, c’è tanto da fare. “Impariamo tutti i giorni sia dal lavoro quotidiano sul campo, sia per quanto riguarda gli aspetti più organizzativi e commerciali del progetto”.
“Se non fosse stato per questo progetto probabilmente avremmo intrapreso strade diverse, fuori dall’Italia”
Per i ragazzi di Onda d’Orto il rapporto con
l’Italia è controverso. “Tutti noi abbiamo un’esperienza di vissuto
all’estero. Se non fosse stato per questo progetto probabilmente avremmo
intrapreso strade diverse, fuori dall’Italia”, spiegano. Per assurdo la crisi
ha fatto il loro gioco, aprendo nuove strade in un settore difficile:
“Al momento, infatti, risulta più facile trovare terre disponibili
gratuitamente mediante comodati d’uso – raccontano – e l’esigenza del recupero di terreni abbandonati in dissesto idrogeologico nella nostra zona ci danno visibilità anche in possibili collaborazioni con diverse amministrazioni locali alle prese con censimenti di terreni da riassegnare a persone che se ne prendano cura”.Al momento Matteo, Jacopo, Filippo e Giacomo vivono tutti a casa, con le rispettive famiglie. “Non siamo ancora economicamente indipendenti. Le nostre famiglie ci supportano dove non possiamo arrivare con le nostre forze”. Nel 2015 il progetto Onda d’Orto ha partecipato e vinto il bando Starter, che sovvenziona le nuove imprese spezzine, ricevendo un finanziamento di 4.700 euro. Allo stesso tempo i ragazzi si stanno impegnando per avviare collaborazioni con cooperative sociali e imprese interessate a creare progetti comuni. “Per ora restiamo con i piedi per terra e la schiena piegata perché il lavoro e la strada da fare è veramente tanta. Il bello è poterla percorrere”.
mercoledì 22 luglio 2015
http://www.huffingtonpost.it/2015/07/20/carla-liesching-the-swimmer_n_7831408.html
consiglio questo articolo molto interessante... i trentenni come swimmer...
Sì io mi sento così...
consiglio questo articolo molto interessante... i trentenni come swimmer...
Sì io mi sento così...
martedì 21 luglio 2015
Il 29 Luglio Io ti vedo, nel buio della precarietà sarà ad Asiago, a Mezzaselva di Roana, parleremo del mio libro, di scuola, della mia esperienza di maestra precaria e perchè no di come ci si sente a essere precari senza sicurezza del domani, e come ci si sente quando invece provi a metterci una pietra sopra e a pensare ad altro. Sembra che da uno sfogo personale sia nata una passione nuova e chissà ... So solo che ho ancora voglia ancora di raccontare...
carpe diem
La creatività e le idee nascono dall'unione, dalla collaborazione e dal confronto, di sicuro, ma nasce anche da istintivi attimi di felicità.
Siamo tutti precari nella vita, chi più chi meno, io sono precaria, quasi ne vado orgogliosa.
Perchè ? Perchè mi sono guardata dentro e ho trovato ciò che volevo.
Non è facile guardarsi dentro, talvolta si incontrano le proprie paure e anche dei grossi ostacoli, ma quanto è bello andare oltre poi. Guardarsi allo specchio e dire "io ci ho provato".
Io ci ho provato, ma anche io vorrei... Vorrei, vorrei tante cose...
La prima per me è continuare a scrivere e realizzare questo mio sogno, questa mia parte di creatività... Chissà?
Voi ce l'avete un sogno? Vi siete trovati in una situazione senza via di uscita e avete dovuto mettere sul tavolo tutte le vostre carte, tutte le vostre capacità?
Perchè ? Perchè mi sono guardata dentro e ho trovato ciò che volevo.
Non è facile guardarsi dentro, talvolta si incontrano le proprie paure e anche dei grossi ostacoli, ma quanto è bello andare oltre poi. Guardarsi allo specchio e dire "io ci ho provato".
Io ci ho provato, ma anche io vorrei... Vorrei, vorrei tante cose...
La prima per me è continuare a scrivere e realizzare questo mio sogno, questa mia parte di creatività... Chissà?
Voi ce l'avete un sogno? Vi siete trovati in una situazione senza via di uscita e avete dovuto mettere sul tavolo tutte le vostre carte, tutte le vostre capacità?
questo Blog nasce dall'esperienza di un libro Io ti vedo, nel buio della precarietà. Il libro parla di me, della mia esperienza di maestra precaria nella scuola. Stanca di portarmi addosso il fardello dell'etichetta "precaria", stanca di passare le estati in disoccupazione, senza poter fare progetti e programmi, ho preso il pc e ho iniziato a buttare dentro tutta la mia rabbia, la mia insoddisfazione, ho scritto e scritto, finchè ne è nato Io ti vedo.
Io ti vedo è stato ed è ancora una presa di coscienza, un urlo di rabbia, che mi ha permesso di liberarmi e di scoprire quanto mi piace scrivere e quanto mi piacerebbe ancora farlo. Questo "sogno" ultimo di tre sogni è un obiettivo ora per il quale sto continuando ogni giorno a inventare, cercare e ricercare.
Ilaria Goffo vi dà il benvenuto su questo blog, sbirciate, guardate e leggete e se volete date un occhio anche alla pagina facebook di Io ti vedo nel buio della precarietà. Vi aspetto numerosi!!
Stay tuned perchè qui la creatività non ha età e non ha regole!
lunedì 20 luglio 2015
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